mercoledì 26 luglio 2017

L'elzeviro del filosofo impertinente


Sono trascorsi 20 anni dalla morte di Lady D. Un lasso di tempo che ha permesso alla principessa del Galles di diventare un mito, e di cristallizzare la sua figura nell'immaginario collettivo. Diana Spencer era una donna libera che rifiutava ogni forma di pregiudizio. Era, in un certo senso, una vera outsider che ha tentato di cambiare il volto della monarchia inglese. Devo ammettere che il Regno Unito ha sempre esercitato un fascino potente sulla mia vita. Chi non ha vissuto gli anni'80 e '90 non può immaginare il carisma di Diana, e dunque non può comprenderla fino in fondo. Quando si muore nel fiore degli anni si rischia di divenire presto un santino da venerare. Diana era destinata a diventare regina d'Inghilterra in quanto consorte del primogenito di Elisabetta II, Carlo, ma il suo dramma personale non lo rese possibile. Il suo matrimonio tormentato con l'erede al trono iniziato nel 1981 si concluse ufficialmente nel 1996, e di conseguenza questo inevitabile passaggio sancì la fine del suo rapporto con la casa reale. La sua tragica morte nel Pont de l'Alma di Parigi spense per sempre il sorriso sul suo volto. Nel 1998 andai per la prima volta in Inghilterra. Per me che adoravo quel paese era un sogno che si concretizzava. Avevo girato il mondo in lungo e in largo ma il Regno Unito non lo avevo ancora visitato. Dopo aver reso omaggio a Canterbury e a Geoffrey Chaucer arrivai a Londra. Londra era il centro dei miei studi e delle mie attenzioni. Sono uno shakespeariano convinto e non potevo non visitare il Globe Theatre. Da questa città sono passati anche i miei miti musicali: I Beatles, Elton John, David Bowie, George Michael e Freddie Mercury. Lady Diana era morta soltanto un anno prima e nei nostri occhi era ancora presente la commozione suscitata dal suo funerale. Mi recai anche nel Northamptonshire per visitare il suo luogo di sepoltura, Althorp House, dimora della famiglia Spencer. Diana non aveva paura d'amare, e di esternare il suo amore incondizionato per i suoi due figli. Non nascondeva le sue fragilità e i suoi malesseri esistenziali. Era la principessa del popolo e non voleva ingannarlo. Aveva compreso che attorno alla sua figura ruotava l'attenzione dei media, e proprio per questo decise di adoperarsi per delle importanti cause umanitarie. Andò in Angola per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle mine antiuomo disseminate nei campi. Sposò la lotta all'AIDS e fu anche Madrina delle arti e patrocinò diverse cause ed eventi per raccogliere importanti donazioni in favore dei soggetti più deboli. Da poco aveva ritrovato una stabilità affettiva con Dody Al-Fayed, morto anche lui nello stesso incidente del 31 agosto del 1997 in un tunnel di Parigi. Visitai il grande magazzino Harrods e rimasi sorpreso nel vedere che il padre di Dodi, Mohammed Al-Fayed, all'epoca proprietario del negozio aveva allestito al suo interno un altare commemorativo con la foto di Diana e il figlio. Nel '98, prima di rientrare in Italia, visitai nuovamente la mia amata Parigi, ma questa volta volevo recarmi al Pont de l'Alma. Devo dire che osservando attentamente il luogo della sua morte mi sfiorarono diverse perplessità sulle dinamiche dell'incidente. Non sono un complottista ma non credo alla versione ufficiale. Ricordo la quantità immane di messaggi dedicati a Diana lasciati ai piedi della torcia che sovrasta il tunnel. La sua giovane vita si era spenta come una candela al vento, proprio come la canzone che Sir Elton John aveva cantato al suo funerale. Non voleva diventare un'icona, ma la sua morte l'ha consegnata per sempre alla leggenda. Diana era una donna sensibile in cerca di pace e spiritualità, ma era anche una madre affettuosa che seppe trasmettere ai suoi figli, William e Harry, il valore della normalità. Il loro essere principi non doveva in alcun modo distoglierli dalla consapevolezza di essere vicini al popolo e alle loro problematiche. Lei diceva: "Voglio che i miei ragazzi imparino a comprendere le emozioni delle persone, le loro insicurezze e preoccupazioni, le loro speranze e i loro sogni". A vent'anni dalla sua scomparsa mi piace ricordarla con il suo bellissimo sorriso, con i suoi limiti e i suoi pregi perché Diana era una persona reale, e non un personaggio inventato. Ha speso ogni energia per rendere la monarchia un'istituzione al passo coi tempi. In qualche modo riuscì a rendere più umana la famiglia Windsor. Se la casa reale appare molto meno ingessata lo si deve proprio alla timida maestra diventata in breve tempo la beniamina del popolo. Ma Diana capì anche che la solidarietà è un valore aggiunto da sperimentare quotidianamente nelle nostre vite.
"Fai un atto di bontà, casuale, senza aspettativa di ricompensa, e stai sicuro che un giorno qualcun altro potrebbe fare lo stesso per te" (Lady D).

Cristian Porcino

® Riproduzione riservata

venerdì 14 luglio 2017

Il Presidente della Repubblica ringrazia Porcino, autore del libro “Canzoni contro l’omofobia e la violenza sulle donne”

Desidero ringraziare l'Illustrissimo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il dott. Simone Guerrini (Cons. Direttore dell'Ufficio di Segreteria del Presidente) per la lettera ricevuta. Nella suddetta lettera il Presidente Mattarella mi ringrazia per avergli inviato in dono il mio libro Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne.

mercoledì 12 luglio 2017

L'elzeviro del filosofo impertinente


Il 27 giugno scorso è scomparso Paolo Limiti. I teenager non lo conoscono, non seguivano certamente i suoi programmi TV, ma scommetto che canticchiano senza saperlo una delle tante canzoni scritte da Paolo. Ovviamente mi riferisco a La voce del silenzio interpretata da recente anche da Andrea Bocelli, Laura Pausini e Francesco Renga. Come dimenticare quell'incipit formidabile che fa: "Volevo stare un po’ da solo per pensare tu lo sai, e ho sentito nel silenzio una voce dentro me e tornan vive troppe cose che credevo morte ormai ….vorrei una voce".
Ho conosciuto di persona Paolo Limiti il 29 novembre del 2003 durante lo show targato Rai Torno sabato...e tre. Ricordo la sua giovialità prima della diretta. Lo chiamavano da ogni parte e lui replicava con gentilezza a tutti. Sembrava timido e riservato ma non appena si accendevano le telecamere era in grado di entrare immediatamente in sintonia con il pubblico. Era proprio nato per fare televisione. Limiti si sedette nella fila davanti alla mia per una buona mezz'ora e poi lasciò il suo posto per andarsene via o aspettare la fine dello show altrove. Paolo si intrattenne a scherzare con noi della stampa con grande cordialità e curiosità. Ho iniziato a seguire Limiti grazie a mia madre che non si perdeva i suoi programmi televisivi in cui si ripercorreva la storia della musica e del cinema. Rimanevo affascinato da quest'uomo che conosceva ogni aneddoto e curiosità sulla lavorazione di un film o i retroscena di una canzone. Quando iniziava un racconto ti teneva inchiodato alla sedia, e il suo entusiasmo finiva per contagiare anche te. Non era pedante e ti rendeva partecipe dell'evento narrato. All'università mi chiamavano Paolo Limiti perché come lui ero appassionato di cinema e di musica. Mi piaceva documentarmi e raccontare agli amici le storie che si nascondevano dietro alcuni successi. Il vero sapere si condivide e non si rinchiude in una piccola cassaforte. In fondo questo faceva Limiti con i suoi spettacoli; condivideva con il suo pubblico ciò che lo entusiasmava di più. Certo, i colleghi universitari mi chiamavano 'Paolo Limiti' con un tono ironico. Il Paolo nazionale rappresentava per loro il passato, e di conseguenza io ero percepito come un intellettuale d'altra epoca interessato a cose un po' démodé. In altre parole mi vedevano come un marziano sbarcato sulla terra. La cosa però non mi offendeva, anzi. Molte erano le affinità che mi legavano a Limiti. Come Paolo anch'io rimasi da bambino affascinato dal cinema americano, soprattutto quello di un tempo. Con i miei coetanei non potevo certo parlare di Joan Crawford, Bette Davis, Montgomery Clift, Clark Gable e altri miti del cinema. Nei suoi programmi, invece, lui dava spazio alle star di Hollywood che avevano reso grande la settima arte. Come spiegare ai più la sensazione che si prova quando ti trovi in un teatro di Broadway, e le luci si spengono e parte la musica? Oppure con quali parole definire la gioia di ascoltare la voce straordinaria di Barbra Streisand? Paolo lo sapeva e si nutriva di queste emozioni. Quante puntate dedicate alla magia di Broadway e ai musical più longevi di tutti i tempi. Ma Paolo Limiti non era solo storia e quindi ricordi, bensì si interessava alla contemporaneità tenendo ben presente che nulla può essere compreso se non si conosce il nostro passato. Più volte è stato offeso ed etichettato come un nostalgico, uno che viveva cristallizzato nel passato ma non era affatto così. Aveva mille interessi e mille talenti. Paroliere, conduttore, inventore di format televisivi e anche animalista convinto. Paolo Limiti era un vero amico degli animali e non perdeva occasione per discuterne. Nei suoi programmi inseriva rubriche quotidiane in cui affrontare le problematiche dei maltrattamenti agli animali. Paolo si prodigava attivamente per aiutare i nostri amici a quattro zampe a trovare una nuova famiglia. Aveva classe anche quando s'indignava. Ricordo che quando si arrabbiava con i criminali che maltrattavano i cani lui diceva: "Vi auguro ogni bene"! Era chiaro che il senso della frase augurata era l'opposto, ma detta in tal modo risultava ancora più efficace. Con la morte di Paolo Limiti finisce una televisione elegante, garbata, istruttiva e genuina. Desidero, infine, ricordare una massima che Paolo ripeteva spesso nei suoi show e che ho sempre apprezzato: "Ricordati di essere gentile quando sali le scale perché prima o poi dovrai scenderle anche tu".
Un caro saluto a Paolo Limiti "Uno dei pochi che conosceva quello di cui parlava" (Gene Gnocchi).

Cristian Porcino

® Riproduzione riservata

giovedì 6 luglio 2017

L'elzeviro del filosofo impertinente


In vista di un imminente trasloco ho riportato alla luce frammenti di un passato distante anni luce dalla mia memoria e personalità. Rovistando fra scatole e scatoloni ho fatto un viaggio nei ricordi. Sicuramente alcuni vissuti con coscienza e altri un po' meno. Che strana sensazione rivedere i quaderni delle elementari, i primi sussidiari, i ritagli di giornale, le riviste, i giocattoli dell'infanzia etc. Più cestinavo e più mi accorgevo che in quei contenitori non c'era più il mio presente e nemmeno il mio futuro. Io come essere umano sono cristallizzato in una dimensione temporale che possiamo chiamare adesso, ma in verità abito un nonluogo! Io sono un progetto in fieri. Una idea partorita da qualche mente sognante che non ha fatto ancora pace con la realtà. Sono stato una determinata persona, e il tempo mi ha portato inevitabilmente altrove. Rivedere quegli appunti e andare immediatamente con la memoria a quell'istante in cui scrissi tutto mi ha riportato a vedere le cose con un certo distacco. In quelle scatole ho rivisto le mille prospettive che potevo attuare. Ho provato un certo sollievo nel buttare diverse porzioni della mia vita. Ho percepito le aspettative e i sogni infranti appuntati con uno spillo sul bavero dell'anima. Crescere significa anche fare i conti con una verità tangibile. Ora comprendo la sensazione di liberarsi di quella zavorra che ti tiene ancorato al passato, e ti fa pensare a tutto ciò che poteva essere e non è mai stato. Ho vissuto forse mille vite senza essermene accorto. Chi era quel bambino che annotava le sue impressioni in quel diario? E quel ragazzo che scriveva con convinzione i propri pensieri? Chi lo sa! Di certo non io, o almeno non più.
«Scrivevo silenzi, notti, notavo l’inesprimibile, fissavo vertigini» (Arthur Rimbaud).
In un vecchio giornale ho trovato una riflessione della scrittrice Susanna Tamaro che fa al caso nostro: «Il grande dono che ci è stato dato è il libero arbitrio, cioè il poter scegliere. Scegliere vuol dire semplicemente avere due strade davanti e decidere di imboccarne una anziché l'altra. Scegliere non vuol dire anche rinunciare. Non so cosa c'era nell'altra strada, né mai lo saprò perché l'ho lasciate alle spalle e non posso più tornare indietro». È vero, non possiamo più tornare indietro, ma non possiamo nemmeno affermare che avevamo ampia facoltà di scegliere. La scelta è una iattura non un dono. Non esistono mai scelte giuste o sbagliate. Quando le hai compiute rifletti a posteriori sui benefici ricevuti o meno. Siamo liberi di scegliere tra due alternative ma nessuna di queste è realmente scevra da inganni. Ci illudiamo di scegliere, ma se a tavola hai pasta o pesce dovrai inevitabilmente optare per una delle due senza troppi ma e senza se. Io devo essere in grado di fare una vera scelta e non essere obbligato ad un bivio bloccato. Io non ho mai avuto facoltà di scegliere perché mi sono ritrovato a barcamenarmi fra l'apparire e scalfire la mia essenza, oppure autoingannarmi pensando di essere davvero libero. Come sosteneva John Stuart Mill: «La libertà di ogni individuo deve avere questo preciso limite: egli non deve essere di disturbo agli altri». Io, infatti, non ho mai disturbato gli altri ma tale principio non è stato certamente ricambiato, anzi. Ho sperimentato sulla mia pelle quanto diceva Sartre: «L’enfer, c’est les autres». All'esistenza dell'inferno post mortem non credo, ma alla gente che ti rende infernale la vita purtroppo sì! Chissà perché queste nullità che abbiamo avuto il dispiacere di conoscere emanano ancora un lezzo nauseabondo, proprio come le fogne di Calcutta, ed è proprio per questo che dobbiamo allontanarle. Questi umanotteri depensanti impestano l'aria con la loro malvagità morale e la loro puzza contagiosa, ma non dobbiamo farci contaminare da questa decomposizione interiore. Pertanto ritorno alle mie scatole, e nel frattempo solletico la mia riflessione con una canzone di Brunori Sas.
«La verità è che ti fa paura/ L'idea di scomparire/ L'idea che tutto quello a cui ti aggrappi
Prima o poi dovrà finire/ La verità è che non vuoi cambiare/ Che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose a cui non credi neanche più
».

Cristian Porcino

® Riproduzione riservata

sabato 1 luglio 2017

L'infinito treno del capitano Zerovskij


Questa sera approda alla Stazione Terra l'infinito treno guidato dal capitano Zerovskij. Quando si viaggia in treno occorre munirsi di regolare titolo di viaggio, ma soprattutto di buone letture. Noi vi consigliamo di acquistare il libro Chiedi di lui 2.0 Ancora un viaggio nell'universo musicale di Renato Zero, e di portarlo con voi. La musica di Renato in sottofondo, e la lettura del libro vi accompagneranno dolcemente verso uno dei tour più spettacolari di sempre. Il volume è in vendita su Amazon