mercoledì 24 dicembre 2014

“Il bell’Antonio” di Brancati al Teatro Stabile di Catania

Nel 1949 Vitaliano Brancati, uno degli scrittori più originali e interessanti del Novecento, pubblica il romanzo “Il bell’Antonio”. Ed è proprio questa splendida opera che ieri sera è andata in scena al Teatro Stabile “Giovanni Verga” di Catania, con la regia di Giancarlo Sepe su una riduzione curata dalla figlia dello stesso scrittore, Antonia Brancati, e Simona Celi. La storia è ambientata a Catania negli anni Trenta, in piena epoca fascista. La scenografia della rappresentazione teatrale è scarna ma essenziale. Una colonna grigia domina l’intera scena. Il suo richiamo fallocentrico compensa ed evoca la mancanza, soprattutto nella prima parte, di “quella cosa” di cui tutti parlano ma che non si può esplicitare se non grazie ad allusioni colorite. Antonio Magnano (Luchino Giordana) è spaesato, infastidito da una fama di sciupafemmine che ha alimentato per fugare i dubbi sulla sua vera condizione. Il personaggio costruito dal sentire popolare lo ha reso "famoso" e schiavo di se stesso, ma a quale prezzo? Inviso dal parroco e da molti mariti, agognato dalle donne di qualunque ceto sociale Antonio arriva a detestarsi, a sperare di poter mutare la propria impotenza fisiologica sposandosi con la bella Barbara Puglisi, ma tutto peggiora e svela pubblicamente il suo segreto. Il padre di Antonio, Alfio Magnano (Andrea Giordana), si fregia continuamente delle prodezze sessuali del figlio, però arriva perfino a disconoscerlo quando si rende conto che Antonio non ha consumato il matrimonio ed è destinato ad essere oggetto di maldicenze. Alfio è un esemplare di quel “gallismo” che Brancati prese spesso di mira nelle sue opere. Con Antonio vive un rapporto conflittuale e sarà proprio lui a riscattare l'onore del figlio andando con una prostituta di un bordello, e lì morirà a causa di un bombardamento aereo. Il bell'Antonio riesce a trovare conforto solamente nelle parole dello zio Ermengildo (Giancarlo Zanetti), fine intellettuale e l’unico in grado di capirlo e consigliarlo.

Ogni scena è segnata da un drappo che insegue i personaggi e spazza via le ore e i giorni. La bravura di Andrea Giordana impreziosisce l’intera rappresentazione e non stona accanto ad un cast affiatato e in sintonia. In definitiva uno spettacolo da vedere assolutamente soprattutto in un momento storico in cui il gallismo sembra proprio ritornare di moda sotto mentite spoglie.

Cristian Porcino


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lunedì 22 dicembre 2014

"Un'altra vita"... per un natale diverso

“Diverso”. Aggettivo forse abusato, come sempre accade quando un argomento diventa di pubblico dominio. Ma regalatevi "Un'altra vita", breve ed emozionante romanzo di Cristian Porcino, e vi accorgerete che l'appellativo ci sta tutto. Cristian narra una storia autentica, semplice e al tempo stesso spiazzante. Oggi si sente tanto parlare di omosessualità, ma siamo davvero preparati ad accettare un figlio/a, fratello, amico gay o lesbica, soprattutto se abbiamo ricevuto un'educazione rigidamente religiosa? E noi, siamo in grado di accettarci, superando l'omofobia interiorizzata? È quanto accade a Shlomo, giovane ebreo ortodosso newyorchese, educato - programmato? - a perpetuare la tradizione paterna, a diventare un rabbino, sposare una donna adatta a lui, proliferare e mantenere una diversità che però, a differenza di quella che gli piove addosso, ha tutti i tratti d'una superba separazione dal resto della compagine umana. Scoprendosi omosessuale, Shlomo invece si trasforma in un diverso aperto al mondo, alle sue suggestioni, culture, credi. Rinasce e si ricrea, senza alcuna certezza preconfezionata, ma con l'unica, paradossale convinzione del dubbio come unica verità della vita. Un romanzo che pone domande più che fornire risposte: ed è questo il suo grande pregio. Siamo pronti a raccoglierne la sfida?
Franco Ferrari
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giovedì 18 dicembre 2014

“Come conquistare il mondo con una buatta” di Antonio G. D’Errico e Tony Cercola

(“Come conquistare il mondo con una buatta” di Antonio G. D’Errico e Tony Cercola, Edizioni Anordest, pp. 221, € 10,90).

Tony Cercola, musicista e percussionista di spessore, si racconta ad Antonio G. D’Errico con umiltà e sincerità. Attraverso il ricordo delle prestigiose collaborazioni con Pino Daniele, Edoardo Bennato, Brian Ferry, Tullio De Piscopo e persino Bob Dylan (e molte altre), il lettore si lascia coinvolgere nella vita di un uomo che ha scelto la musica per raccontare il suo mondo interiore. Le sue sonorità racchiudono l’essenza del Vesuvio, ma si aprono ad altre culture e contaminazioni etniche riconosciute anche a livello internazionale. Come scrive Antonio Pascotto: “La sua è una carriera lunga, segnata dalla passione per la musica e per il rapporto con la gente, con il prossimo”. Alla fine del testo si trovano le testimonianze di amici e colleghi come: Gigi D’Alessio, Eduardo De Crescenzo, Enzo Decaro, Pupi Avati etc. In definitiva un libro assolutamente consigliato.

Cristian Porcino

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martedì 16 dicembre 2014

Riflettori su Renato Zero

"Chiedi di lui" - viaggio nell'universo musicale di Renato Zero - è un piccolo miracolo e un grande libro. Piccolo perché non è facile ottenere lusinghieri risultati di vendite per due autori poco conosciuti e non supportati da adeguato battage pubblicitario. Ma è accaduto. E, a distanza di quasi un anno, l'opera continua a destare interesse e curiosità. Grande perché "Chiedi di lui" affascina per la scrittura vivace, la completezza delle informazioni, l'originalità della narrazione. Il testo è suddiviso in tre parti: nella prima, affidata a Daniela Tuscano, si percorre la prima fase della carriera di Zero; Cristian Porcino si dedica ai suoi anni più recenti; nella terza si trova una nutrita raccolta di testimonianze di "sorcini" di ogni età e non manca nemmeno una inedita galleria fotografica.
Attraverso i brani del cantautore scorrono, come in un film, oltre quarant'anni di vita italiana (e non solo), quarant'anni in cui è cambiato tutto, stravolte convinzioni, ribaltato valori, sovvertito - e ricomposto - rapporti interpersonali. E molto di più.


- E oggi, che cosa resta di tutte quelle strade, di quei tentativi, di quell'allegria, anche? Quanto è davvero mutato e quante sfide restano ancora aperte?

DANIELA: «Esistono periodi storici irripetibili e l'ultimo scorcio del '70 fu uno di questi. Anni tragici per molti, anni tossici, malati, del declino dell'innocenza (e l'assassinio di Pasolini segna, in tal senso, uno spartiacque); e, nel frattempo, di grande sperimentalismo, nell'arte e soprattutto nel costume. Quindi anni anche colorati, provocatori. Un abbozzo di rivoluzione. Dove un personaggio come Renato Zero s'impose come sfavillante meteora. Declinò in un lessico italiano le suggestioni di Marc Bolan, David Bowie, Mick Jagger ecc. Non se ne accorsero in tanti».

- Eppure, voi raccontate che molti insospettabili intellettuali seguono, o hanno seguito Renato Zero. Anche amanti della musica "seria". Come si spiega?

CRISTIAN: «Nel melodramma delle opere liriche dei nostri più grandi compositori è racchiusa una tragicità del tutto connaturale alla vita. In questo Zero si avvicina a quel mondo e ben lo rappresenta. Nella sua intera produzione sono presenti elementi scenografici (e non solo) del mondo del teatro, incluso quello lirico. Il grande Luciano Pavarotti stimava Zero e anche Katia Ricciarelli; perfino il maestro Riccardo Muti ha espresso grande interesse e ammirazione nei confronti delle canzoni del cantautore romano. Il musicista Daniel Barenboim ha detto in un’intervista: “Purtroppo negli ultimi tempi troppe persone vivono senza mai nessun contatto con essa. La musica è finita in una torre d'avorio, puro piacere estetico per pochi eletti. Invece dovrebbe essere prima di tutto educazione alla vita. Se impari a "pensare la musica" capisci tutto: che il tempo può essere oggettivo e soggettivo, la relazione tra passione e disciplina, la necessità di aprirsi agli altri... Se suoni il violino e non ascolti allo stesso tempo il clarinetto non si può far musica”. Per parafrasare il titolo di un libro di Barenboim, “La musica è un tutto”!»

- Non va comunque dimenticato che Zero non è stato solo melodia, ma anche ritmo e rock - aggiunge Daniela. - Io lo conobbi così e per me quell'immediatezza secca ed esplicita è un tesoro da ritrovare assolutamente.

- Mi sorprende l'aggettivo "esplicito" per Renato Zero. Io avrei usato "elusivo/allusivo", ma confesso di non averlo conosciuto agli inizi. Invece, leggendo il libro...

DANIELA: «...ci si rende conto che era proprio così. Si potrebbe aggiungere "spontaneo" che, del resto, non significa improvvisato. Renato era un talento naturale, diciamo pure selvaggio, non un'operazione studiata a tavolino né il frutto di un'elaborazione intellettuale. A differenza di altri cantautori il suo messaggio - non solo le canzoni, ma l'aspetto, il personaggio, la sua stessa vita - giungeva diretto, senza intermediari. Era unico, perfino solo. Ma in ciò risiedeva la sua forza. Oggi taluni scrivono di percezioni, di fraintendimenti, quasi il Nostro intendesse comunicare qualcosa di diverso da ciò che in realtà era. Si propongono interpretazioni capziose di certi suoi brani, si tende a rendere episodico quanto invece costituiva il nerbo della sua intera poetica, si accantonano testimonianze per sottolinearne solo altre. No, se Renato si fosse limitato a dipingere, in maniera magari impeccabile ma distaccata - o, peggio, metaforica -, un mondo che non gli apparteneva non sarebbe entrato nel cuore di tanta gente. Del resto lui stesso non mancava mai di sottolinearlo, ben consapevole che in quello, non nell'essere un semplice esecutore o "traduttore" d'emozioni altrui, risiedeva la sua originalità».

- Naturalmente - incalza Cristian - l'ascoltatore recepisce messaggi che poi rimodula e adatta alla propria vita in base alle esigenze personali. Non si può continuare sulla falsariga d'un repertorio già sentito. Vivere significa anche cambiare idea.


- Cristian, per ragioni anagrafiche ti sei avvicinato a Zero dalla seconda parte della sua carriera. Che cos'hai trovato di stimolante in lui negli ultimi tempi?

CRISTIAN: «Vivevo quel determinato periodo storico e non potevo entusiasmarmi a qualcosa che non conoscevo. Su di me la sua musica ha esercitato una certa influenza soprattutto con i suoi album del passato. Grazie a questi ultimi ho compreso lo Zero che ascoltavo in quel preciso momento. In ogni periodo artistico esiste una certa continuità e dovevo risalire alla fonte di questa sorgente creativa. Ovviamente lo credevo sincero nei suoi messaggi altrimenti non mi sarei mai lasciato trasportare da qualcuno che millantava esperienze ed emozioni mai provate. Ogni artista quando ascolta la propria anima elabora contenuti onirici e immaginifici che provengono da una dimensione esistenziale non definibile. In quel momento il suo Io interiore è nudo e non può fingere. Poi ovviamente torna in sé e magari fatica a comprendere ciò che ha scritto in quel preciso istante. Il processo creativo di un artista è qualcosa che ci avvicina alla nostra origine primigenia, quando eravamo tutt’altro da ciò che siamo oggi».

- Un discorso di coerenza?

CRISTIAN: «La coerenza è d’obbligo per un essere umano adulto, e a maggior ragione per un artista. Solo l’artista, però, è in grado di sapere se ha rispettato la sua voce interiore. Naturalmente, come ho detto, si può cambiare opinione. L’unica cosa che può stonare in tutto il contesto è negare o prendere di fatto le distanze da un passato storico che, nel bene o nel male, ci ha fatto diventare ciò che siamo. Diceva Lao Tzu: “La correzione si converte in falsità”. Diciamo che un artista deve utilizzare più riflessione critica verso se stesso anziché autocelebrazione».

- Avete menzionato Pasolini. E nel libro descrivete Zero come un "pasoliniano inconsapevole"...

DANIELA: «Pasolini è uno dei massimi poeti del Novecento, Renato Zero un cantante pop. Si potrebbe finire qui. Ma c'è quell'aggettivo, inconsapevole, appunto. È sempre il discorso della spontaneità: Zero nella primissima parte della sua vicenda artistica e umana somigliava a un protagonista dei romanzi romani del poeta. In seguito no, negli ultimi anni ne ha anche preso le distanze. Senza volerlo ha però dato voce e a suo modo amplificato, a livello di fruizione popolare, quei marginali tratteggiati da Pier Paolo. La tanto bistrattata "canzonetta", in fondo, serve anche a questo. Ho saputo di gente che si è avvicinata a Pasolini dopo aver ascoltato alcuni vecchi brani di Zero».

CRISTIAN: «Non credo che nei primi anni della sua vita artistica Zero si sia soffermato più di tanto a studiare dettagliatamente l’opera di Pier Paolo. Era totalmente preso dalla sua carriera e dall’inseguire quella voglia di riscatto che albergava in lui. A Pasolini lo legava un certo modo di vivere la periferia e l’esistenza dei più ultimi, ma i due hanno effettuato un percorso esistenziale e artistico ben diverso. Quello di Pasolini estremo e fatale, quello di Zero audace in un primo momento e più rasserenante nella seconda parte della sua carriera».

- Daniela, la tua narrazione si ferma al 1991 anche se apri significativi spiragli sulle decadi successive. Qual è il periodo secondo te più fecondo del Renato maturo?

DANIELA: «L'ho scritto: la seconda metà degli anni Ottanta, cioè quel lasso di tempo oscuro - dal punto di vista delle vendite - non ancora sufficientemente valorizzato e l'intero decennio dei Novanta. Veramente, adesso considero quelle sonorità un po' datate ma all'epoca le trovai interessanti, forse un tantino manieristiche, ma Renato è anche bel canto, più vicino a Claudio Villa che a Modugno. Fra gli album del periodo Duemila ho apprezzato in particolare "Cattura" e le prove dal vivo».

- A breve si inaugurerà "Zero", una mostra multimediale sull'arte di Renato...

DANIELA: «Ovviamente non ne so molto, anzi, come tutti, quasi nulla! Renato, così italiano, ancora una volta sembra ripercorrere le strade dei colleghi d'oltremanica, Beatles e David Bowie. Sarà l'occasione per avvicinare alla poetica di Zero un pubblico più ampio e vario rispetto ai fans abituali? È presto per dirlo. Alcuni suoi pezzi compaiono in alcune antologie scolastiche. Forse ancora poche. Non è necessario un riconoscimento dall'Accademia dei Lincei per i cantautori, come pure qualcuno pretende. I cantautori non sono poeti. Ma un loro spazio nell'immaginario e, perché no, nella creazione d'un nuovo linguaggio popolare probabilmente lo meritano».

CRISTIAN: «Concordo con Daniela. Si sa molto poco di questo evento, e quindi non posso esprimermi in tal senso. Nondimeno una carriera non è fatta esclusivamente di momenti visibili da accumulare ed esporre in vetrina. Il visibile non corrisponde certamente al vissuto dell’artista e a quello dei suoi ammiratori. Si corre il pericolo di focalizzarsi e cristallizzarsi in una dimensione nostalgica che produce solamente una vuota deferenza al passato che si è vissuto con estrema intensità. Mi rammarica tuttavia che prima dell’uscita del libro e inizialmente, quando nel 2008 pubblicai il testo “I cantautori e la filosofia da Battiato a Zero”, nessuno scorgeva nella sua opera appigli culturali. Adesso, invece, è iniziata una caccia al tesoro, con tanto di concorsi letterari creati per decifrare questo artista un tempo fin troppo snobbato e adesso giustamente osannato. Mi fa piacere per lui, ma occorre ricordare che in tempi non sospetti ci eravamo già interessati all’aspetto culturale della sua arte e, ahimé, non siamo stati presi granché in considerazione. Meglio tardi che mai!»

Emilio Bacchetta (Color Porpora, dicembre 2014)

giovedì 11 dicembre 2014

Rassegna stampa romanzo “Un’altra vita” di Cristian Porcino



1) «Un’altra vita” Lulu Edition, pp. 124, è un bel romanzo di Cristian Porcino che tratta un tema importante per il nostro vivere sociale, quello della diversità. Lo fa con una scrittura sciolta e accattivante come è solito l’autore. (…) Un testo adatto anche ai ragazzi per far loro comprendere come la difficoltà di essere diversi nasca soprattutto da uno stato mentale inculcato dall’ educazione e dal retaggio» Maria Giovanna Farina (filosofa e scrittrice - "L'Accento di Socrate").

2) «Come prima cosa volevo complimentarmi con te per avermi regalato delle emozioni vere, sincere. Anche se non ci conosciamo posso assicurarti che difficilmente mi lascio contagiare e trasportare da un libro. Ho trovato il tuo romanzo davvero entusiasmante e coinvolgente sin dall’ inizio. Il protagonista di “Un’Altra vita” con il suo tipico atteggiamento da rivoluzionario silenzioso mi ha ricordato Holden Caulfield del capolavoro di Salinger. Grazie ancora per aver dato vita a Shlomo» Marco 57 (lettore).

3) «Cristian Porcino, filosofo e critico letterario, si cimenta col romanzo. Shlomo, protagonista di "Un'altra vita" (sempre per Lulu ma disponibile anche su Amazon), potrebbe rischiare la follia o, per reazione, trasformarsi in un violento fondamentalista. Il suo spirito, però, ha conservato un nucleo di spontaneità che lo previene da questi pericoli. E il suo carattere dolce non lo rende remissivo, ma curioso di esplorare se stesso e il mondo che lo circonda» Franco Vivaldi (giornalista).

4) «Potremmo invece, considerare “Un’altra vita” come un romanzo di formazione sentimentale, secondo la tradizione settecentesca inventata da Goethe e continuata da Sthendal e da Flaubert fino alla sua ultima ed eccentrica ripresa, quel geniale “Seminario sulla gioventù” di Busi che Porcino conosce perfettamente» Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese (scrittori).

5) «Leggendo il primo romanzo di Cristian Porcino “Un’altra vita” ci si imbatte in una lettura piacevole, scorrevole ed entusiasmante. L’autore è una continua scoperta e in questo romanzo affronta con delicatezza e positività il tema della sessualità, dell’omofobia e della rinascita affettiva» Viviana Cosentino (giornalista).

6) «Il nuovo libro di Cristian Porcino “Un’altra vita” raccontala vita di Shlomo, un giovane ebreo ortodosso che dovrà fare i conti con la mentalità chiusa e bigotta dei propri genitori e della comunità in cui risiede (…) Porcino smaschera il voyerismo di facciata che sembra tanto arrovellare i perbenisti dell’ultima ora. (…) La narrazione prosegue con tanti episodi suggestivi e densi di liricità in una cornice scenografica accattivante come quella di New York City» Veronica Di Stefano (giornalista).

7) «Il romanzo si sviluppa con molto garbo, mettendo in evidenza l'ottima preparazione culturale dell'autore che accompagna i due protagonisti con occhio benevolo e cosciente della"svolta" che il mondo contemporaneo ha impresso alla vita di tutti gli omosessuali» Salvatore Scalisi (scrittore).

8) «“Diverso”. Aggettivo forse abusato, come sempre accade quando un argomento diventa di pubblico dominio. Ma regalatevi "Un'altra vita", breve ed emozionante romanzo di Cristian Porcino, e vi accorgerete che l'appellativo ci sta tutto. Cristian narra una storia autentica, semplice e al tempo stesso spiazzante. Oggi si sente tanto parlare di omosessualità, ma siamo davvero preparati ad accettare un figlio/a, fratello, amico gay o lesbica, soprattutto se abbiamo ricevuto un'educazione rigidamente religiosa? E noi, siamo in grado di accettarci, superando l'omofobia interiorizzata? È quanto accade a Shlomo, giovane ebreo ortodosso newyorchese, educato - programmato? - a perpetuare la tradizione paterna, a diventare un rabbino, sposare una donna adatta a lui, proliferare e mantenere una diversità che però, a differenza di quella che gli piove addosso, ha tutti i tratti d'una superba separazione dal resto della compagine umana. Scoprendosi omosessuale, Shlomo invece si trasforma in un diverso aperto al mondo, alle sue suggestioni, culture, credi. Rinasce e si ricrea, senza alcuna certezza preconfezionata, ma con l'unica, paradossale convinzione del dubbio come unica verità della vita. Un romanzo che pone domande più che fornire risposte: ed è questo il suo grande pregio. Siamo pronti a raccoglierne la sfida?» Franco Ferrari (lettore), dicembre 2014

9) «Un tema attuale e spiazzante come quello dell’omofobia dall’aspetto pregiudiziale per il culto religioso, romanzato e narrato con un racconto che ti coinvolge fino alla fine, “Un’altra vita”, scritto da Cristian Porcino, come avere una seconda pelle addosso all’insaputa da chi ti ha messo alla vita. Shlomo è il protagonista di questa storia ingarbugliata, un giovane ebreo ortodosso che vive nell’America bigotta dei giorni nostri la propria diversità, alla ricerca di un mondo tutto nuovo ancora da esplorare, lontano dalla cultura con cui è stato svezzato. Lui non è un cristiano, appartiene a quel popolo eletto da Dio. L’autore vuole calcare l’aspetto tradizionalista, quasi comandato dal tuo credo religioso, dell’amore tra un uomo e una donna come principio fondamentale del bene di vivere, mettendo in primo piano l’altra realtà dell’amore, quello a senso unico con persone dello stesso sesso. Shlomo all’età di 21 anni viene cacciato da casa perché confesserà quali sono le sue vere passioni, vivere accanto a un uomo e confrontarsi con il mondo esterno rompendo gli schemi imposti dalla società in cui vive. “Cittadino del nuovo millennio Shlomo non capiva perché amare una persona poteva essere considerato peccato. Voltaire: “I piaceri sensuali passano e svaniscono in un batter d’occhio”. Sfruttato l’altro al fine di compiacere se stesso. Non esiste una cultura gay così come non esiste una cultura etero”. Porcino non usa fronzoli o giochi di parole per mettere a nudo un problema che causa suicidi in tutto il mondo, perché la diversità è considerata come la malattia del secolo, quasi fosse la peste da evitare. Shlomo nella Grande Mela riscopre se stesso rivalutando le sue vere passioni e ridando sfogo al suo essere interiore per anni ghettizzato dall’immagine di un rabbino, Yona, questo è il suo nome, a capo di una congregazione religiosa che scruta la tua vita, e di un padre e una madre legati da un matrimonio forzato celebrato senza la propria volontà, come quello programmato e mai accaduto, tra Shlomo e Routh. Il romanzo come sempre è scritto bene e non lasciando nulla al caso.» Antonio Agosta (giornalista), pubblicato su "Generazione web", ottobre 2015.

(Il libro è in vendita su www.amazon.it e su www.lulu.com. Cliccate a destra nell’area corrispondente alla cover del libro e sarete indirizzati al link per l’acquisto).

lunedì 8 dicembre 2014

“Passeggiate d’autore” di Giuliano Capecelatro

(“Passeggiate d’autore” di Giuliano Capecelatro, Iacobelli Editore, pp. 234, € 15,00). Il libro di Capecelatro ci porta alla scoperta di Roma attraverso 56 personaggi che hanno trascorso una vita intera o soltanto poco tempo nella città eterna. Troviamo, ad esempio, Caravaggio, Cagliostro, Beatrice Cenci, Giordano Bruno, Pasolini fino ad arrivare ai Beatles. Come ricorda l’autore nella sua introduzione: “Va da sé che non basterebbe un volume grosso quanto l’elenco telefonico per dare conto di tutti i personaggi celebri che, in vario modo, hanno usufruito dell’ospitalità di Roma. Una selezione si impone; se alcuni passaggi sono pressoché obbligati, un margine di arbitrarietà è inevitabile”. In definitiva un testo che riesce a documentare e raccontare gli aneddoti nascosti in ogni angolo della città. Da leggere assolutamente. Cristian Porcino © Riproduzione riservata

lunedì 1 dicembre 2014

“I grandi maestri del pensiero laico” di AA.VV

(“I grandi maestri del pensiero laico” di AA.VV, Claudiana, pp. 238, € 25,00). Il presente volume raccoglie diversi saggi scritti da personalità autorevoli quali Giulio Giorello, Pietro Rossi, Piero Calamandrei ecc., e tutti incentrati sul tema della laicità. Il tema del pluralismo religioso nei secoli può essere rintracciato nell’opera filosofica di Spinoza, Kant, Locke, Mill e molti altri. Come ricorda nell’introduzione Massimo L. Salvatori intento del testo è proprio quello: “Di offrire un contributo, uno stimolo all’impegno civile e politico di tutti i laici consapevoli delle minacce che a livello mondiale gravano sulla libertà di cui la laicità costituisce un pilastro senza il quale la libertà, le singole libertà che ne conseguono e la democrazia non possono esistere”. In definitiva un libro utile per combattere ogni forma d’intolleranza religiosa. Da leggere assolutamente. Cristian Porcino © Riproduzione riservata