domenica 27 dicembre 2009

“Il potere della stupidità” di Giancarlo Livraghi


“Il potere della stupidità” di Giancarlo Livraghi edito da Monti & Ambrosini è un saggio molto interessante, giunto già alla sua terza edizione. Come scrive lo stesso autore nelle pagine del libro esistono diversi studi sull’intelligenza umana ma quasi nessuno sulla stupidità. Eppure il potere che essa esercita nella vita degli uomini è degno di nota; ma la cosa che preoccupa di più è la scarsa considerazione che si professa verso questa subdola influenza negativa. Il pregio di Livraghi consiste proprio nello stimolare il lettore a porsi delle domande concrete sull’entità dell’idiozia umana. Essa ha diverse origini come la paura di vivere, la superstizione, l’ignoranza, il fanatismo, l’idolatria, l’oscurantismo, l’abitudine, la superbia, etc. Nessuno è immune dal suo potere che spesso seduce e si annida nei meandri più oscuri della nostra mente. Attraverso la consapevolezza e il desiderio di aprirci a nuove forme di conoscenza potremo forse combattere la causa prima delle disgrazie umane, ossia la stupidità. In definitiva il lavoro di Giancarlo Livraghi meriterebbe di essere adottato come libro di testo in tutte le scuole e università del paese; poiché il migliore antidoto antistupidità è la conoscenza. “È inutile chiederci se stiamo diventando più stupidi. È una pericolosa illusione credere che stiamo diventando più intelligenti. Quello che sta dilagando in modo sempre più pernicioso è il potere della stupidità […] È diventata pressante la necessità di essere, se non più intelligenti, almeno un po’ meno stupidi. È difficile, ma non impossibile”. Grazie a questo volume ciascun lettore potrà saziare parte dei suoi dubbi o delle sue curiosità. Sarebbe davvero stupido lasciarsi scappare un libro come questo.


Cristian Porcino

giovedì 17 dicembre 2009

“L’ospite maligno –La stanza al Dragon Volant” di Joseph Sheridan Le Fanu


“L’ospite maligno - La stanza al Dragon Volant” di Joseph Sheridan Le Fanu (Gargoyle Books) racchiude due racconti davvero straordinari che impressioneranno positivamente il lettore. Coloro che amano i classici della letteratura non potranno non apprezzare la pubblicazione di “The evil guest” per la prima volta edito in Italia ed incluso, a suo tempo, nella raccolta “Ghost Stories and Tales of Mystery” (1851). L’originalità e la chiarezza descrittiva di Le Fanu ci riportano in un’ epoca in cui scrivere significava ammaliare e stupire il lettore. Nelle due storie Le Fanu affronta temi importanti quali il desiderio lussurioso che spinge gli uomini verso la propria rovina, i sensi di colpa che divorano le coscienze e gli impostori che si fingono amici. Le atmosfere gotiche e fantasmagoriche sono in questo volume esaltate dall’ottima traduzione di Sandro Melani. La narrazione suggestiva e avvincente dell’autore è caratterizzata da diversi richiami colti sulle usanze e sul momento storico in cui sono ambientate le vicende. Evocare in entrambe le storie lo spettro reale e devastante della rivoluzione francese ci comunica che qualsiasi racconto dell’ orrore non è poi così tanto lontano dalla furia omicida e perversa degli uomini, se pensiamo a quanto accadde per le vie parigine nel cosiddetto periodo del “terrore”. Non ho alcun dubbio che “L’ospite maligno” diverrà in breve tempo un vero e proprio racconto di culto per il pubblico italiano. In “La stanza al Dragon Volant” si potrà scoprire forse qualche parallelismo con l’ opera di Edgar Allan Poe “The oblong box” del 1844. A mio avviso Poe e Le Fanu rimangono due dei migliori scrittori del genere letterario fantastico e orrorifico; senza dimenticare gli scenari tetri e cupi creati dal grande Charles Dickens. In definitiva un volume che raccoglie questi due imperdibili racconti da leggere sia nelle lunghe e gelide sere d’inverno che nelle notti insonni d’estate.


Cristian Porcino

martedì 8 dicembre 2009

“Io non so chi sei” di Giancarlo Pastore


“Io non so chi sei” di Giancarlo Pastore edito da Instar Libri racchiude in nove racconti l’essenza dell’amore. Storie che si dipanano lungo diversi binari che hanno in comune soltanto il fatto di descrivere l’amore omosessuale. La lettura di ciascun racconto rende ancor più consapevole il lettore dell’assoluta stupidità nel voler etichettare e diversificare un sentimento che ci rende, per sua stessa natura, alieni e quindi già altro da ciò che noi siamo. L’Italia non attraversa un grande momento culturale, con picchi di omofobia altissimi, che sfociano spessissimo in episodi di inaudita ferocia. Ci si chiede il perché molte persone covino un odio verso i gay quando in verità non è poi così tanto “diverso” il loro modo di vivere da un eterosessuale. Il pregio di Pastore sta proprio nell’aver scritto il testo in questione in un modo davvero intrigante e delicato. Ciascuno ha sperimentato almeno una volta nella vita: l’abbandono, il tradimento, la cattiveria e l’invidia di qualcheduno, poco importa che a farci questo sia stato un uomo o una donna. Ad esempio nel racconto “Finocchi” si affrontano le incertezze e le fasi che precedono il corteggiamento. In “Ghost Whisper” si narra la perdita di un amore strappato alla vita e così discorrendo per tutti gli altri racconti. L’autore con una sensibilità ed una scrittura molto realistica e soprattutto molto rara, avvince il lettore sin dalle prime battute. Nessuno in verità conosce se stesso e questo pregiudica spesso i rapporti con gli altri. Se non riusciamo a capire chi siamo e cosa desideriamo non ameremo mai veramente qualcuno; perché è proprio vero che bisogna amare il prossimo come noi stessi. La cover del libro ritrae un bambino davanti all’immensità del mare, riportandoci proprio a quell’innocenza con cui ci accostiamo ad ogni cosa che non conosciamo. Di fronte al flusso inarrestabile dell’amore siamo tutti dei bambini alle prime armi, ovvero ognuno ugualmente diverso; perché l’amore è forse l’ossimoro più importante della vita di un essere umano. In definitiva consiglio la lettura di questo libro agli studenti di scuola superiore che sperimentano forse, più di ogni altro soggetto, la via dell’amore.


Cristian Porcino

martedì 1 dicembre 2009

“Bene Crudele. Cattivario di Carmelo Bene” di Antonio Attisani e Marco Dotti


“Bene Crudele” di Antonio Attisani e Marco Dotti per le edizioni Stampa Alternativa /Nuovi Equilibri raccoglie il meglio del pensiero di Carmelo Bene.
La drammaturgia di Carmelo Bene rappresenta in sé una fenomenologia filosofica degna di nota. Egli ha fatto di se stesso e della sua opera un cattivarlo letterario che ancora oggi ci risulta attuale. Bene era oltre il tempo, poiché la sua ferocia critica all’uomo contemporaneo era un atto d’amore verso la sua stessa essenza. Nel suo ricordare Vittorio Gassman molti notarono del cinismo, mentre egli era scientemente cosciente di ciò che caratterizzava la scomparsa, per antonomasia, dell’ attore. Bene morirà due anni dopo Gassman e quando affermava che Vittorio era già deceduto vent’anni prima, quando la vecchiaia incalzò la sua vita gettandolo in depressione, Carmelo dichiarava al mondo il suo totale rifiuto per una esistenza che ti punisce rendendoti uno spettro, ed un morto consapevole di morire e quindi un già morto. Fu accusato di essere un “tuttologo di cazzate” e molti colleghi attori dissero che era un retore avvincente. Ma quando egli morì furono tutti supinamente prostrati a lodare il suo genio incompreso. Bene non recitava solamente, o come avrebbe detto lui non citava le cose d’altri ma li rendeva qualcosa d’altro rispetto alla scrittura portata in scena. Lo spettacolo di Pinocchio è una parabola sull’ imbarbarimento della giovane prole; attraverso la trasmissione di contenuti vuoti appartenenti a un non sapere che li renderà schiavi. In effetti i suoi Otello e Amleto erano opere di Bene piuttosto che di Shakespeare, ma questo era il suo punto di forza; una sorta di rito apotropaico che scongiurava la reiterazione del già visto e del già sentito. Egli in quanto non-attore, poteva scrivere in scena il testo. Il suo atto di accusa alla retorica del linguaggio ha caratterizzato la sua produzione attoriale e artistica. Personaggio estremo così come le sue opere, ha segnato la storia di quel novecento tanto odiato. Bene non amava molto il pensiero morto e sepolto in testi che erano già tali nel momento della loro scrittura. Desiderava ardentemente rendere meno zombie il pubblico che invece si recava a teatro non per vederlo, ma per criticarlo non avendolo capito. Allora lui si chiedeva come si poteva recensire qualcosa che non si era capito perché, in verità, non doveva essere compreso ma fruito. Era la trappola in cui cadevano moltissimi critici teatrali. “La gente si aspetta quello che sa, per essere tranquillizzata e alla fine applaude, per pietà, la rimozione dalla propria miseria di essere lì ad apprendere una novità che già conosce, senza abbandono, senza niente”. Infine grazie all’opera certosina di Antonio Attisani e Marco Dotti è stato possibile ricostruire parte del flusso inarrestabile del logos di Carmelo Bene. In definitiva un libro da leggere assolutamente.


Cristian Porcino